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lunedì 2 maggio 2016

Una domenica con i messapi

Per conto dell'amico Prof. Fernando Sammarco nonchè presidente de "La KIRKIA I LEONI DI MESSAPIA" pubblico:
Domenica 15 Maggio 2016
la gita sociale al PARCO ARCHEOLOGICO di EGNAZIA (visita guidata). 
Ingresso parco alle ore 11.00 precise.
Si accettano prenotazioni preferibilmente entro il 10 Maggio per confermare il numero esatto al 
responsabile della gestione del parco Dr. Angelo Tamborrino. E’ necessario essere puntuali per potere 
entrare tutti insieme ed usufruire della guida specializzata. Il costo complessivo è da €5,50 
(di cui €3,00 per l’ingresso e visita del nuovo Museo e 2,50 per la guida) 
Il rendez-vous per tutti sarà, quindi, all’entrata dell’area archeologica. 
Per coloro che aderiranno, si raccomanda la massima puntualità. Grazie.

Per il Convivio Sociale post visita archeologica e museale ho dato incarico 
all’associato Pasquale Murgolo, residente nelle vicinanze, di scegliere una bella 
struttura ricettiva, di cui Vi farò sapere in merito anche alla quota sociale.

Si può prenotare rispondendo direttamente a quest’email riferendo i nomi 
dei partecipanti o contattando i seguenti numeri telefonici 393-4557493 / 380-5159858

Un caro saluto dal Presidente 
con Timè kaì Areté
Onore e Virtù ai Leoni di Messapia 
non mancate...
***
Chi sono i Messapi?
Dopo l'età del bronzo (1200 a.C.) la Puglia ospitò una popolazione chiamata Iapigi, un’etnia costituita da Messapi (Puglia meridionale), Peucezi (Puglia centrale), e Dauni (Puglia settentrionale).
I Messapi furono un popolo dedito all’agricoltura ed alla pastorizia, riconosciuti anche come abili domatori di cavalli, tenaci combattenti a cavallo ed arcieri.
La scarsità delle fonti storiche non permette di conoscere con certezza le origini di questa etnia e degli Iapigi in generale. La prima fonte documentata fu scritta da Esiodo (poeta greco vissuto a cavallo fra l’VIII e il VII secolo a.C.), naturalmente più che di notizie storiche si tratta di tentativi di legittimare le origini degli Iapigi. Infatti il poeta identifica la derivazione del nome Iapigi da Ipeto (figura mitologica greca). Mentre secondo Erodoto (485-425 a.C.) i Messapi provengono dai Cretesi che in seguito ad un naufragio si stanziarono in Puglia prendendo successivamente il nome di Iapigi-Messapi.
Alcuni studiosi ritengono che il nome Messapi significhi popolo fra i due mari, altri credono che derivi dal nome del re Messalo.
In realtà le ipotesi storico-archeologiche sulle loro origini sono differenti e discordanti. Una cosa sembra essere certa, gli Iapigi sono frutto di mescolanze di popolazioni indigene presenti sul territorio sin dal Paleolitico con i vari flussi migratori che si susseguirono nel tempo nella penisola: micenei, popolazioni provenienti dall’Anatolia , dall’Epiro ed infine gli Illiri (popolazione proveniente dai Balcani).
Strettamente influenzati dalla cultura greca, gli Iapigi, ed in particolare i Messapi, furono in grado di mantenere una propria identità ed autonomia.
Paradossalmente, all’inizio del IV sec a.C., a pochi anni dalla battaglia delle Termopili che vide Leonida morire per difendere la libertà dei greci, i nostri antenati si ritrovarono a combattere per gli stessi ideali, ma questa volta gli oppressori furono proprio uomini di origine spartana (i nipoti ribelli di uomini spartani che nel VIII secolo abbandonarono la città natale in cerca di nuove terre fondando cosi Taranto).
Epica fu questa resistenza delle bellicose popolazioni iapigie al tentativo dei tarantini di recuperare schiavi. Nel 473 a.C. infatti i cavalieri Messapi e i combattenti Peucezi e Dauni inflissero agli ex spartani una tremenda sconfitta che determinò anche la caduta dell’aristocrazia tarantina. Erodoto racconta che fu la più grande strage a sua memoria. Causa di ciò fu l’invasione di Carbinia, (l’attuale Carovigno) da parte dei tarantini che, dopo averla devastata, rastrellarono donne e bambini, li denudarono, li ammassarono nei templi e gli esposero agli sguardi e alle angherie di chiunque avesse voluto soddisfare le proprie voglie.
Successivamente nel 338 a.C. Archidamo III (re spartano) attaccò Manduria, ma fu sconfitto.
I tarantini pensarono così di chiamare Alessandro Molosso di Epiro (zio di Alessandro Magno) ma questi, invece di combattere i Messapi, riuscì a far conciliare le due parti.
L’avanzamento delle popolazioni osche (indoeuropei di ceppo sannitico della Campania antica pre-romana) spinse i Messapi, i tarantini e romani, ad una alleanza al fine di fermare i Sanniti. Le prime due guerre Sannitiche (343 -304 a.C.) si conclusero con un accordo di non belligeranza fra romani e tarantini, con il quale i romani si impegnavano di non oltrepassare il Capo Lacinio . Ma nel 303 a.C. i romani non rispettarono il trattato ed entrarono con una nave nel porto di Taranto, scatenando così una guerra fra Taranto e Roma. Nel 280 a.C. i Messapi si allearono con Taranto e Pirro (nipote di Alessandro Magno) giunse in difesa dei tarantini con 30.000 uomini e 20 elefanti. Tutto ciò non fu sufficiente, infatti nel 275 a.C. i romani sconfissero le armate del re dell'Epiro. I messapi, nonostante la sconfitta dei tarantini, continuarono la lotta contro Roma fino al 266 a.C. anno in cui il Salento fu annesso allo stato di Roma ed i romani si impossessarono del porto di Brindisi.
I Messapi inizialmente formavano gruppi tribali, successivamente risentirono degli influssi ellenistici, in particolare dopo la fondazione di Taranto avvenuta nel 706 a.C.
Anche la lingua messapica, dapprima di impronta illirica, divenne successivamente laconico–tarantino. E’ possibile suddividere il tipo di scrittura in due fasi, quella arcaica e quella classica, differenziata sia dal verso che dalle proporzioni delle lettere. Si conservano nei musei di tutto il Salento circa 350 iscrizionimessapiche, testi non sempre facili da comprendere, in particolare quelle risalenti all’età arcaica.
Un grande studioso delle iscrizioni messapiche fu Francesco Ribezzo (archeologo e glottologo illustre - 1875-1952) al quale è dedicato il Museo Provinciale di Brindisi.
Originariamente questo popolo non viveva in vere e proprie città, ma in piccoli gruppi residenti in capanne sparse nel territorio. Gli abitanti dei capanni si riunivano nei centri fortificati per difendersi da attacchi nemici o per celebrare feste e riti. Secondo gli studi di Ippodamo da Mileto solo dopo il VII secolo a.C. l’urbanistica messapica risentì dell’influsso greco.
Anche la religione fu influenzata da quella ellenica e forte divenne il culto verso la dea Demetra, dea del grano e dell’agricoltura. Uno dei santuari più importanti dedicati alla dea e a sua figlia Persefone si trovava presso il Monte Papalucio ad Uria, l’attuale Oria.
I defunti inizialmente venivano inumati e coperti da cumuli di pietra, solo dopo il VII secolo a.C. iniziarono le sepolture in tombe ipogee detti a camera e a semicamera; all’estinto veniva posta una moneta in bocca come obolo per pagare il passaggio nell’aldilà, come già in uso nella cultura greca.
La Civiltà messapica
I Messapi inizialmente formavano gruppi tribali, successivamente risentirono degli influssi ellenistici, in particolare dopo la fondazione di Taranto avvenuta nel 706 a.C.
Anche la lingua messapica, dapprima di impronta illirica, divenne successivamente laconico–tarantino. E’ possibile suddividere il tipo di scrittura in due fasi, quella arcaica e quella classica, differenziata sia dal verso che dalle proporzioni delle lettere. Si conservano nei musei di tutto il Salento circa 350 iscrizionimessapiche, testi non sempre facili da comprendere, in particolare quelle risalenti all’età arcaica.
Un grande studioso delle iscrizioni messapiche fu Francesco Ribezzo (archeologo e glottologo illustre - 1875-1952) al quale è dedicato il Museo Provinciale di Brindisi.
Originariamente questo popolo non viveva in vere e proprie città, ma in piccoli gruppi residenti in capanne sparse nel territorio. Gli abitanti dei capanni si riunivano nei centri fortificati per difendersi da attacchi nemici o per celebrare feste e riti. Secondo gli studi di Ippodamo da Mileto solo dopo il VII secolo a.C. l’urbanistica messapica risentì dell’influsso greco.
Anche la religione fu influenzata da quella ellenica e forte divenne il culto verso la dea Demetra, dea del grano e dell’agricoltura. Uno dei santuari più importanti dedicati alla dea e a sua figlia Persefone si trovava presso il Monte Papalucio ad Uria, l’attuale Oria.
I defunti inizialmente venivano inumati e coperti da cumuli di pietra, solo dopo il VII secolo a.C. iniziarono le sepolture in tombe ipogee detti a camera e a semicamera; all’estinto veniva posta una moneta in bocca come obolo per pagare il passaggio nell’aldilà, come già in uso nella cultura greca.
Il simbolo di questo popolo è diventata la Trozzella, tipica forma della ceramica vascolare messapica. E' un’anfora dalla forma ovoidale più o meno rastremato al piede, con alte anse nastriformi, verticali, che terminano in alto, e all’attacco col ventre, con quattro trozze o rotelline plastiche, che presenta elementi decorativi geometrici come: cerchi, scacchiera, quadrati, triangoli, accanto ad elementi fitomorfi come fiori e foglie. La trozzella venne prodotta nel Salento nel VII e VIII secolo a.C. e risentì dell’influenza proto geometrica nata a Micene 1050 anni a.C.
Un altro tipico esempio di ceramica messapica sono i pesetti da telaio o piramidetti.
Gli insediamenti messapici 


I resti di insediamenti messapici sono sparsi in gran parte del Salento. Tra i più importanti sono, in ordine sparso, Brindisi (Brention), Oria (Orra), Valesio (Valesium), Muro Tenente (Scamnum - area archeologica tra Latiano e Mesagne), Ceglie Messapica (Kaìlia), Egnazia (Gnathia), Nardò (Neriton), Manduria (Mandyrion), Lecce (Rudiae), Cavallino (Sybar Sallentina), Otranto (Hydruntum), Vaste (Bastae), Alezio (Alixias), Gallipoli (Anxa), Ugento (Ausentum), Roca Vecchia, Muro Leccese e Soleto. In provincia di Brindisi altri ritrovamenti messapici sono stati effettuati anche a Pezza Petrosa nel territorio del comune di Villa Castelli, a Francavilla Fontana, e nell'area denominata Castello d'Alceste del comune di San Vito dei Normanni.

martedì 26 aprile 2016

La Dea Latona di Kailìa


La Dea Latona (Leto per i greci) era madre di Apollo e Diana (Artemide per i greci), e il nesso logico madre-figlio sta a latona-apollo come sant'anna-san rocco , la cosa si evince anche dal fatto che i latini usavano attribuire al dio della sorpassata religione anche le proprietà divine. 
Quanto segue il pezzo dell'articolo del 1987 della gazzetta del mezzogiorno:
"Presso la città sarebbero sorti santuari extraurbani dedicati alle divinità greche Apollo (in corrispondenza dell'odierna chiesa di San Rocco), Afrodite (sulla collina di Montevicoli) e sotto la Basilica di Sant'Anna nel corso dei lavori di sondaggio i frammenti di ceramica votiva e resti del tempio della Dea Latona madre di Apollo e Diana (Archivio 1987)".........

mercoledì 20 aprile 2016

Ceramica Messapica

Le comuni origini illiriche non erano sufficientemente vicine nel tempo, e i diversi influssi dovuti ai contatti con la civiltà villanoviana a nord, con quelle cretese-micenea a sud, e in seguito con le varie colonie greche, hanno portato a una marcata differenziazione nella tipologia dei vasi e della decorazione. Le fondamentali differenze con l'arte daunia e peucetica.
Molto si è scritto in questi anni su un particolare tipo di ceramica che, pur essendo contemporaneo della grande ceramica greca del periodo classico, se ne discosta notevolmente per l'originalità delle forme e dei motivi decorativi. Uno dei testi più recenti e dettagliati, che ci permetteremo di citare più volte, è quello di Maurizio Borda " Ceramiche Apule " che passa in rassegna tutte le produzioni di vasi delle Puglie, dall'epoca preistorica a quella del periodo ellenistico, fino quindi alla conquista romana.
Tali vasi appartengono alla grande famiglia del geometrico italiano che non ha però nessun legame cronologico con il classico periodo geometrico greco.
La divisione della Puglia preromana in tre regioni, la Daunia al Nord, la Peucezia al centro e la Messapia al Sud, secondo quanto dice Polibio (Storie 11, 24), è archeologicamente confermata dai diversi stili delle ceramiche rinvenute nei sepolcri. 
Appaiono infatti nelle forme e nella decorazione dei vasi caratteristiche che variano da regione a regione, e che esprimono aspetti culturali diversi. 
Le comuni origini illiriche non erano infatti sufficientemente vicine nel tempo, e i diversi influssi dovuti ai contatti con la civiltà villanoviana a nord, con la civiltà cretese-micenea al sud e in seguito con le varie colonie greche, hanno portato ad una marcata differenziazione nella tipologia dei vasi e della decorazione. 
La ceramica dauna è caratterizzata da singolari decorazioni plastiche, con probabile significato magico, applicate ai bordi delle brocche, le cui anse vanno a formare strane figure dalle lunghe orecchie appuntite, con le mani all'orlo del vaso, forse retaggio di antiche credenze animistiche. 
Il Borda analizza poi un'altra forma caratteristica di decorazione: sono le figurine stilizzate che decorano l'esterno dei vasi e l'interno delle tazze. Da un lato animali ridotti ai loro più semplici tratti distintivi, dall'altro " figure particolarmente considerevoli per la loro formulazione, con il corpo a triangolo pieno e con segmenti filiformi che se ne irradiano come braccia. Ciò esprime notevoli possibilità di astrazione e di senso decorativo e denota spiccate personalità dei vari artisti, perché non esistono due sole di queste figurine che si ripetano ". 
La ceramica peuceta sembra invece risentire maggiormente dell'influenza arcaica greca, dalle figurine umane con il corpo a doppio triangolo caratteristiche dello stile geometrico attico, alle file di animali che distinguono le ceramiche protocorinzie. Il tutto rivisto da artisti indubbiamente meno raffinati e più provinciali. 
Un altro ambiente di cultura artistica è quello della Messapia. La cultura messapica presenta aspetti assai diversi da quella dei Dauni e dei Peuceti e, malgrado la comune origine illirica, denota, con quella delle altre due province, solo occasionati e sporadici contatti. Sotto le molteplici influenze delle culture circostanti " i ceramisti messapici si mostrano dotati di gusto raffinato e di mano leggera. Mancano forse del fantasioso ed effervescente gusto dei Dauni, ma sono lontani dalla noiosa monotonia dei Peuceti ". 
Nella ceramica messapica è molto diffusa la pratica di suddividere le zone decorate in pannelli che contengono disegni stilizzati basati su tipi animali o floreali. Il Gervasio (1922) ha passato in rassegna e riunito molti dei motivi di presunta origine straniera, identificando fonti egee, micenee, greche, senza ignorare influenze villanoviane. 
Il Mayer distingue tre fasi della ceramica messapica: una con decorazione monocroma in una tinta opaca, un'altra decorata una tecnica bicromatica - nero opaco e rosso - infine nuovamente una decorazione monocromatica, con una tinta marrone ed un ritorno alla decorazione geometrica con un repertorio sempre ricco di motivi, frutto di una creatività spontanea ed indipendente. A Taranto è stato scoperto, anni or sono, un deposito di vasi che rappresentano il filone della cultura artigianale pre-greca, che risulta così attestata prima della fondazione della colonia, cioè alla metà circa dell'VIII secolo. 
In seguito, a Taranto sparisce la produzione messapica, soffocata dallo straripare delle importazioni, soprattutto di vasi corinzi. 
" La grande massa delle produzione di ceramica messapica si ripartisce quindi fra il brindisino e il Satento, ove il ruolo di continuare la produzione è affidato specialmente ai due centri dì Ceglie Messapica e di Rudiae. Da Ceglie proviene un gruppo di anfore tarchiate con alte anse a nastro, che preannunciano quelle " trozzelle " che saranno per secoli l'elemento più caratteristico della ceramica messapica ". 
Da Rudiae proviene invece un tipo di cratere con due anse a rotelle orizzontali, ornato con larghe fasce ed archi o con riquadri contenenti motivi vegetali o animali. 
Altri tipi di vasi hanno forma di palmipede o di botticella (Askòi), o sono pissidi con coperchietto e pomo di presa o crateri a colonnette e coppe emisferiche. O infine il caratteristico kalathos. 
Il posto di primo piano, nella matura produzione di ceramica messapica, è occupato da un singolare tipo dì anfora, di struttura generalmente biconica, con alte anse a nastro con rotelle plastiche. 
La sua forma insolita, la sua costante presenza nei corredi tombali, la sua diffusione circoscritta al territorio messapico fanno supporre che la sua funzionalità non fosse quella di un oggetto d'uso che il nome di " trozzella " (la carrucola applicata per attingere acque dai pozzi) le ha popolarescamente attribuito; le anse sono troppo delicate per assolvere funzioni pratiche ed il vaso ha un uso esclusivamente simbolico ed occupava evidentemente un posto importante nel rituale funerario, anche se la mancanza di fonti scritte ci impedisce di approfondirne il significato. 
Sembra che in un primo momento questi vasi fossero privi di rotelle, che vennero aggiunte poi, quando apparve il tipo standardizzato biconico con largo orlo piatto e quattro coppie di rotelle, due per ansa, che ,invade tutto il Salento. 
A Rudiae se n'è trovato un gruppo omogeneo che fa presumere la presenza di una fabbrica locale. 
L'ornamentazione è in genere a riquadri in ognuno dei quali c'è una figurina, vegetale o animale; sul resto del vaso sono dipinte fasce parallele. 
Le decorazioni geometriche comprendono triangoli, rombi, scacchiere, denti di lupo, clessidre ecc.; quelle naturalistiche palmette, foglie, rosette, boccioli, tralci d'edera e stelle di varia derivazione. Non mancano gli animali, felini, cervi, palmipedi, rappresentati con felici tratti stilizzati. La datazione di tali vasi è ancora controversa. Il ricorrere, nella decorazione, di motivi derivati forse dal repertorio greco orientalizzante, e l'accostamento, nei luoghi di ritrovamento, con ceramiche corinzie arcaiche, la risalire alcuni di essi fino all'VIII secolo a.C..
Nella decorazione delle " trozzelle " si può osservare la persistenza dei motivi stilistici originali, cui si associano volta a volta elementi vegetali di gusto orientalizzante, tipi derivati dalla ceramica arcaica come il cervo di tipo rodio o i galli affrontati calcidesi. 
Più in là si innestano figurazioni ispirate rate alla ceramica attica a figure nere e la forma stessa dei vasi si trasforma e si affina pur conservando intatto il lascino originale. 
La maggior parte delle trozzelle appartiene però al periodo detto di Gnathia, dal nome del paese ove sembra fossero fabbricate, e vanno quindi datate al IV e III sec. a.C.
Questo ci porta in pieno periodo ellenistico con l'ultima espressione originale della tradizione ceramica apula. I vasi di Egnatia hanno un fondo nero di sobria lucentezza sul quale è dipinta una caratteristica decorazione floreale in bianco e giallo con ritocchi in rosso. Sono tralci, grappoli, rosette a volle posti solo a delineare i bordi del vaso, e più spesso a riempirne tutta la superficie, inquadrando fra i rami fioriti figure di animali, testine dì profilo o figure intere: Satiri, Menadi, danzatori, maschere teatrali o strumenti musicali. Il tutto sobriamente accennato a rapidi tratti rivela una tendenza alla sola decorazione che nell'eleganza dei motivi vegetali si contrappone alla complicata decorazione narrativa dei contemporanei vasi apuli a figure rosse. Quest'ultimi nascono però dall'influenza dell'arte greca ed escono quindi dall'ambito dell'arte apula originaria che c'eravamo prefissi di illustrare brevemente. 






lunedì 18 aprile 2016

Il Mese di Venere

A circa 1 Km dall'abitato di Kailìa (Ceglie Messapica), sul colle Montevicoli (presso le omonime grotte) in età messapica si venerava la dea Afrodite, ciò è testimoniato dalle numerose iscrizioni in lingua messapica rinvenute presso le grotte con l'epigrafe APRODTA cioè Afrodite, oggi conservate nel Museo Provinciale di Brindisi. 
Molte lucerne votive sono state rivenute presso le Grotte di Montevicoli confermando quindi la devozione alla dea della bellezza. 
In epoca messapica (proprio come Monte Papalucio ad Oria ed altre città messapiche), la devozione delle divinità femminili avveniva proprio all'interno delle grotte, rappresentata dalle concreazioni di stalattiti e stalagmiti che omaggiavano la naturale bellezza della divinità. 
Il luogo di culto ad Afrodite (per i greci) o Venere (per i romani), ha raggiunto un particolare splendore in età romana (presumibilmente intorno al II sec. a.C.), dove nella prima settimana del  mese di aprile si festeggiava appunto il "Mese di Venere", tutte le donne della messapia si recavano al tempio con offerte votive da sacrificare in onore della dea ed esaltare le origini della potenza di Roma.

venerdì 15 aprile 2016

Terra dei Messapi, miti ed eroi

“Terra dei Messapi, miti ed eroi”, al Teatro Domenico Modugno di Aradeo (Le) il 23 aprile 2016 ore 21,00

Dalla piazza di Vaste, l’antica Baxta, al Faro della Palascìa (Otranto) e ora al teatro di Aradeo il 23 aprile alle ore 21,00. Lo spettacolo è rappresentato dalla Compagnia Ora in Scena!, ideato e diretto da Paolo Rausa. La Messapia, la terra fra i mari, la terra degli ulivi, la terra dei cavalli raccontiamo, la figura del principe Arta di Manduryon che, ispirato dalla filosofia pitagorica e sostenuto dal grande Pericle di Atene, realizza l’alleanza fra le città messapiche giungendo a liberare la sua terra dai tarentini. Il suo discorso ai principi messapici è un abbraccio ideale ai paesi del Mediterraneo, nel quale gli auspici di pace e di cooperazione fra i popoli fanno bene sperare per il progresso dell’umanità. Le danze per festeggiare la vendemmia (le feste Bisbee), le nozze di Arta con Lastenia e lo scontro con i tarentini sono proposte da Carmen Kalimba Kalimba Studio Dance di Carmen Quaranta. Info: www.orainscena.it, paolo.rausa@gmail.com, tel. 334 3774168. 
Al termine dello spettacolo i saluti messapici del prof. Fernando Sammarco, autore del libro ‘Arthas il Grande, Leone di Messapia’.

sabato 14 marzo 2015

SPECCHIA TALENA O TALENE?

Io intanto mi chiedo ma si chiama Specchia TALENA O TALENE? nel tentativo di trovare una risposta, qui posto la locandina delle giornate di domani 15 Marzo e 12 Aprile 2015, due giornate dedicate al rispetto della natura con escursioni presso due suggestivi posti "Specchia Talene" e "Fogge Sant'Anna" (qui sotto il programma), sempre qui sotto c'è qualche notizia riguardante appunto Specchia Talene che domani sarà meta di chi parteciperà alle giornate "Naturalmente Ceglie", più in là parleremo anche delle fogge.




Qualche notizia sulla messapica "Specchia Talene"

FOTO TRATTE DA "MESSAPICA CEGLIE"
Specchia Talene è situata a 199 metri s.l.m. e circa 7 km dall'abitato di Ceglie, lungo la strada comunale che porta alle materie Barone, Falascuso, Sardella. Nel 1952 la specchia in questione fu in parte demolita da una ditta fornitrice di breccia, come se osservava il Teofilato: "non fosse bastato guardarsi intorno per trovarsi sassi a non finire".
Studi su di essa sono contenuti in teorizzato, Drago e Neglia.
Il Teofilato parla di un'altezza di 16 metri poi ridotta di un terzo per effetto dello sventramento del 1952, e di sei piani concentrici (uno in più di Specchia Castelluzzo) con la torretta terminale.
Ancora oggi è possibile intravedere qualche tratto di cortina muraria formata da massi irregolarmente poligonali, di cui parla anche Teofilato.
Secondo la ricostruzione del Drago, Specchia Talene sarebbe da ricondurre alla tipologia di Specchia Castelluzzo per fette dei ripiani costituiti dall'avvolgersi intorno ad un nucleo centrale di una rampa ad aspirale che partiva dal piano di campagna. Ai muri verticali della rampa erano addossate delle scalette.


giovedì 12 marzo 2015

STORICA DISATTENZIONE

E questo significa preservare la storia? Non mi pare! 
La storia si ripete ed ogni volta che attraverso scavi non sistematici riemerge qualcosa, allora c'è modo di RIcoprire o non trovare una soluzione per tutelare la scoperta.
Si capisce che mettere un lastrone di vetro sopra sarebbe stato pericoloso, però coprirlo totalmente con dei lastroni lascia il tutto in modo discutibile!

Foto tratta dal blog "IL DIAVOLETTO"
Foto tratta dal blog "IL DIAVOLETTO"
Prendo in prestito un'altra foto da "IL DIAVOLETTO"
Foto tratta dal blog "IL DIAVOLETTO"
In questi giorni sono iniziati i lavori per la ristrutturazione di Piazza Sant'Antonio (quella che anni fa si chiamava Piazza Ettore Tagliaferro), anche qui nei lavori di smantellamento dell'asfalto riemerge un vecchio strato costituito da lastroni di pietra irregolari, presumibilmente riconducibile alla Ceglie ottocentesca o forse di epoca anteriore.

Foto presa dal libro "MESSAPICA CEGLIE"
Kailinon vi ricorda che durante la costruzione delle poste nel 1958 (vedi foto qui sopra), c'è stato il rinvenimento di una tomba a cassa formata da lastroni di epoca messapica, proprio lì vicino dove in questi giorni stanno lavorando per ripristinare le condizioni della piazza.